Arbitri, la storia di Niccolò Bortolotti

Niccolò Bortolotti è un giovane arbitro che, come tanti di quelli introdotti nel mondo del Csi, all’inizio non pensava che seguire un semplice corso gli avrebbe cambiato la vita. Appassionato di sport, giocatore di pallavolo a livello agonistico in Federazione, esattamente dieci anni fa intraprese un percorso che l’avrebbe portato lontano.
Nato a Tione di Trento ma bresciano da sempre, Niccolò racconta con orgoglio l’evoluzione della sua vocazione: «Venni a conoscenza dei corsi della commissione arbitri nelle scuole tramite mio fratello. Io facevo il pendolare in università a Milano, lui frequentava il liceo Olivieri di Brescia, dove si sarebbero tenute le lezioni. Feci domanda di iscrizione e cominciai. Giocavo ancora a pallavolo, ero interessato ad approfondire la materia e ad imparare un’attività che mi permettesse di pagare qualche spesa universitaria. Piano piano mi inserii nel mondo del Csi, scoprendo una struttura molto più grande ed organizzata di quanto pensassi».
Una struttura fondata sui rapporti umani: «Il gruppo arbitri in generale e quello della pallavolo nello specifico è da sempre molto unito. È un insieme di persone che unisce l’esperienza di chi arbitra da tantissimi anni, all’energia dei giovani. Ho molto legato nel tempo coi colleghi. Abbiamo sempre cementato un’amicizia dentro e fuori dal campo, dalle attese finali provinciali, alle cene e le uscite condivise».
Come per tutti, anche per il volley c’è stato un pre-Covid ed un post-Covid: «Prima della pandemia arrivavo ad arbitrare anche sei-sette partite a settimana. Ho sempre dato la massima disponibilità e da studente universitario potevo gestirmi i tempi. Con il Covid è cambiato radicalmente, sono diminuite le iscrizioni, le partite, il numero degli arbitri, in più ora ho un impiego fisso, per cui seguo quattro partite massimo a settimana. Due anni fa eravamo una quarantina, ora molti meno. Capisco chi si è tirato indietro: viviamo uno stato di insicurezza generale, a parer mio scelte personali di questo tipo sono inattaccabili».
Dopo un decennio di esperienza, il ragazzo che aveva iniziato spinto da curiosità e possibilità remunerative ha lasciato spazio ad un Niccolò più maturo e consapevole: «L’arbitro è un formatore super partes che attraverso le regole insegna pratica, comportamento, sportività. È il tutore della disciplina. Arbitrando impari a gestire situazioni (stress, errori, rapporti con persone diverse) che poi si ripresentano anche nella vita al di fuori del campo. Rinforza e tempra lo spirito. Non da ultimo, questo ruolo regala grandi soddisfazioni. Ricordo tutte le partite decisive che mi è capitato di arbitrare con gestioni limpide, che non significa non aver mai sbagliato. Le imperfezioni fanno parte del gioco, l’importante è continuare a studiare, aggiornarsi, essere sempre preparati».
A prescindere da, accanto a, o al termine di una carriera agonistica ha dunque senso pensare di intraprendere la strada del fischietto? «Assolutamente. Non c’è bisogno di caratteristiche precise, tutti possono farlo, anche partendo da zero. Servono voglia, impegno, disponibilità, coraggio. Non bisogna partire prevenuti, o aver paura dei giudizi esterni. C’è un gruppo di persone eccezionali che, senza essere sotto i riflettori, danno tanto per la crescita sportiva di un intero movimento. Lanciatevi!».

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