Aromando, una vita per il volley: giocatore, allenatore, arbitro

Un po' arbitro, un po' allenatore. Con la stessa passione, con la stessa dedizione per ogni impegno, per ogni gesto, per ogni volto incontrato lungo la strada. Pietro Aromando, 57enne di origini campane, vive il suo grande amore per la pallavolo su due fronti all'interno del mondo Csi.

 

“Da bambino feci un provino per entrare in una squadra di calcio di Eboli, il mio paese d'origine, ma venni scartato, quindi dirottai le mie attenzioni sulla pallavolo. L'inizio fu difficile, ricordo parecchie sconfitte, ma avevamo allenatori validi e nel giro di tre anni arrivammo alle finali interregionali”.

 

Quello del volley giocato è stato un lungo percorso, vissuto fino a quarant'anni. “Smisi solo perchè non vedevo nei miei compagni, pur più giovani, gli stessi stimoli che avevo io. Senza obiettivi e ambizioni ho preferito concentrarmi sul percorso di allenatore, che avevo già intrapreso da tempo”.

 

L'approdo a Brescia avvenne nel 1992. “All'inizio non trovai collocazione come coach, così decisi di darmi da fare come arbitro”. Prima il corso di abilitazione, poi le prime direzioni di gara:Adoro il contesto del Csi. Si mettono i valori dello sport al primo posto e l'agonismo non manca, perché fa parte del dna dello sport. Certo, va veicolato nella giusta direzione, ma la ricerca della vittoria non può mancare mai. C'è il giusto mix”.

 

Fischietto ma anche allenatore, prima all'Ardens San Polo, poi al Trenzano. “Allenare è fantastico, vedere i frutti della semina fatta con i giovani è qualcosa di magico. La prospettiva del direttore di gara è un'altra, la speranza è che tutto proceda senza contestazioni. Credo che per un arbitro sia fondamentale saper fare autocritica. Dopo ogni partita analizzo il mio comportamento e il mio operato, se sono stato presuntuoso dall'alto del ruolo che rivesto. Aver fatto sia il giocatore sia l'allenatore mi aiuta molto. Allo stesso tempo quando sono in panchina cerco di aiutare gli arbitri, soprattutto i più giovani”.

 

Essere arbitro Csi, tuttavia, ha un significato più profondo: “C'è una dimensione importantissima che è quella del gruppo. Gli arbitri sono una vera e pripria squadra che collabora, si aiuta, condivide momenti di formazione e riflessione, ma anche conviviali. Lo sport vissuto così è bellissimo”.

 

Per chi ha una passione così grande è davvero difficile vivere questo momento di stop forzato: “Ama le relazioni, il contatto con le persone, per questo la pallavolo mi manca tantissimo. L'ultima partita delle mie ragazze è stata lo scorso 22 febbraio. Troppo tempo... Mai vissuta una situazione del genere, nemmeno al Sud con il colera. Anche nelle situazioni più negative, però, si può imparare qualcosa di importante. Credo che questa pandemia ci abbia ricordato chiaramente l'importanza del tempo trascorso in famiglia e quanto conti stare vicino a mogli e figli”.

 

E di figli Pietro Aromando ne ha ben quattro: “Una piccola squadra, alla quale cerco di trasmettere i valori dello sport, che fa bene al corpo, alla mente e all'anima. Abbiamo sempre giocato tanto in famiglia. Giocando s'impara anche il rispetto per gli altri, che ritengo fondamentale”.

 

Un rispetto che Aromando, da emigrante, ha dato e ricevuto nella sua città adottiva: “Ormai vivo a Brescia da 29 anni. Ho girato molto: da Roma a Bologna passando per Genova e Milano. Qui all'inizio temevo alcuni luoghi comuni sui quali non ho trovato riscontri, mi sono sempre trovato bene anche perché ho cercato subito di integrarmi e sono orgoglioso di far parte della comunità bresciana”.

 

Il futuro sarà ancora qui, ovviamente nel segno dello sport: “Voglio allenare e arbitrare ancora, ma quando mi accorgerò che il rendimento sarà calato farò un passo indietro”. Un giorno che, oggi, è ancora lontano.