Don Albertini: 'Lo sport dovrà curare ferite e donare libertà'

Mi hanno regalato un uovo di cioccolato. Anche in questa Pasqua un po’ strana, nonostante la gravità del momento ci tenesse distanti, oltre il ricordo nella preghiera reciproca, mi è stato regalato un dolce gesto d’amicizia: un uovo di cioccolato. Un Ferrero Rocher gigante, impasto di nocciole e cacao.  

Al di là della prelibatezza sono stato attratto dalla storia che sta all’origine di questo prodotto e alla creatività della nota azienda produttrice. Avete presente la cialda di wafer ripiena di crema al cioccolato contenente tre nocciole intere? A tutti sarà capitato di mangiarla almeno una volta nella vita. Per produrla venivano consumate tonnellate di nocciole aumentando incredibilmente, e sempre più, gli scarti da buttare.  

Ovviamente, più gli scarti aumentavano (come ad esempio nocciole frantumante o rotte in parte) più, di conseguenza, aumentavano i costi dell’azienda. D’altra parte era necessaria la materia prima. Poi, dopo parecchi tentativi, discussioni, valutazioni e una buona dose di creatività in azienda capirono che in qualche modo avrebbero potuto sfruttare ugualmente quella materia di scarto. Nacque così il Ferrero Rocher, dalle nocciole di scarto. Senza correre troppo avanti, con la dovuta pazienza anche noi, Centro Sportivo Italiano, ci prepariamo a fare i conti con le tante conseguenze che questa pandemia ci ha consegnato.

 

Non sono certo scarti di nocciole ma si chiamano ferite. La gente, con noi, uscirà di casa portando delle ferite e in alcuni casi ancora sanguinanti, con le lacrime agli occhi dai tanti giorni trattenute. Non inizierà il tempo per cercare di dimenticare, ma si creerà lo spazio per curare. Le ferite non sono come le macchie, loro si cancellano.

 

Le ferite hanno bisogno di cicatrizzare. Per fare questo occorre la tenerezza della mamma che soffia sulla sbucciatura del ginocchio del figlio, che tiene stretto in grembo il bimbo spaventato dal buio. La tenerezza è una parola molto concreta: o è fatta di gesti o non esiste. Si esprime con il tatto, la sentiamo con le mani, con l’abbraccio. È un gesto di prossimità che dovremo mettere in campo come punto di partenza per combattere la cultura dello scarto, dell’esclusione e accogliere tutti coloro che hanno ancora voglia di correre, saltare, calciare, tirare, stare insieme.

 

È la rivoluzione necessaria per essere un’associazione che si prende cura delle ferite di tanti che desiderano sentirsi finalmente liberi di fare sport. Per questa volta liberi, almeno inizialmente, senza i confini di campionati e tornei, di classifiche e avversari ma con la voglia irrefrenabile di trovarsi nuovamente a casa. In questo tempo nuovo dobbiamo diventare bravi a organizzare le attività a partire dalle necessità dei ragazzi e di tante famiglie, non dalla volontà dello sport che troppo spesso cerca clienti.

 

Come uomini e donne di sport dobbiamo trovare il coraggio di non misurare la nostra organizzazione futura guardandoci allo specchio ma trasformandolo in finestra per guardare più in là. La creatività non ci manca e sono sicuro che, anche in questa stagione, il Centro Sportivo Italiano sarà capace di trasformare un tempo difficile in una dolce compagnia. Un po’ come il mio uovo di Pasqua!

 

don Alessio Albertini
(Assistente Ecclesiastico Nazionale)